La “globalizzazione” viene comunemente considerata come un fenomeno caratteristico del XIX e XX secolo, connesso alla velocità e facilitazioni apportate dalla tecnologia in grado di avvicinare le distanze; culture lontane si possono così influenzare reciprocamente per usi, costumi, prodotti, ma spesso non si tiene in considerazione come questa connessione globale sia iniziata molto prima della rivoluzione industriale e tecnologica. Anche l’Europa e la Cina sono collegate da una storia di contatti antichi e profondi.
Una prima forma di interazione, caratterizzata da lunghi tempi di percorso delle carovane e del passo umano, e spinta dalla ricerca di merci preziose come seta, spezie o altri prodotti e materie prime capaci di suscitare l’interesse di acquirenti curiosi, ha iniziato a prendere forma già ai tempi dell’impero romano, in cui, sebbene non siano mai stati intessuti rapporti diretti con il Regno cinese, si era comunque a conoscenza di popoli lontani dall’altro capo della Via della Seta. Coloro che inviavano la pregiata stoffa erano conosciuti in greco come i Σῆρες, i cinesi, e ancora oggi si dibatte se il termine σηρικόν, da cui il latino sērĭca, non abbia una probabile derivazione asiatica, collegabile anche alla stessa parola cinese sī 丝, seta.[1]
Sulle vie di commercio non si articolavano solo affari mercantili, ma anche scambi artistici, culturali e religiosi. Molti furono gli ecclesiastici che percorsero queste strade di comunicazione verso l’estremo oriente e che descrissero i loro viaggi una volta fatto rientro, come il frate dell’Ordine dei minori Giovanni da Pian del Carmine (1182 – 1252), il domenicano André de Longjumeau (XIII secolo), i francescani Willem van Ruysbroeck (1215 – 1295 circa), Oderico da Pordenone (1280 circa – 1331) e Giovanni da Montecorvino (1247 – 1328).
Lo stesso mercante e viaggiatore Marco Polo (1254 – 1324) nel suo Milione affermò stupefatto di notare una continuità di presenza cristiana in Cina già dalla fine della dinastia Tang (618 – 907) fino alla dinastia Yuan mongola (1279 – 1368) che era allora al potere[2]. A conferma della sua osservazione, una stele nestoriana redatta nel 781 e portata alla luce nel XVIII secolo a Xi’an 西安 -punto nevralgico della Via della Seta all’interno della Cina- testimonia la presenza di un cristianesimo di origine siro-orientale in Cina già in epoca Tang.[3]
La cospicua presenza missionaria in Cina prese però l’avvio solo verso la fine del Cinquecento, periodo in cui fu possibile intensificare i contatti tra occidente ed oriente grazie alle grandi connessioni marittime createsi nel Quattro-Cinquecento. I missionari che risiedevano ora in Cina potevano dedicarsi ad uno studio più approfondito della lingua e attraverso l’invio di missive, libri o, quando era possibile, al loro rientro in patria, contribuirono a diffondere in Europa nuove notizie sulla Cina. Nacque in questo periodo una grande attività di apostolato che si fece portatrice anche di uno scambio culturale e scientifico, specialmente favorito dall’operato di “accomodamento” sincretico avviato dai gesuiti. In questa fase, come promotore del dialogo fra le due culture non si può non citare il gesuita Matteo Ricci (1552 – 1610) , famoso in Cina con il nome di Li Madou 利马窦 .
Ricci viene generalmente considerato come il primo della “generazione dei giganti”, [4] ovvero missionari gesuiti che si sono distinti nell’ambito delle scienze e delle arti a servizio della corte imperiale cinese: Giulio Aleni (1582 – 1649), Prospero Intorcetta (1625 – 1696), Johann Schreck (1576 – 1630), Michał Piotr Boym (1612 – 1659), Johann Adam Schall von Bell (1591 – 1666), e Ferdinand Verbiest (1623 – 1688), solo per citarne alcuni.
Questo periodo storico corrisponde ad un grande fermento intellettuale in cui scambi mercantili, culturali e religiosi si muovevano su un’estesa rete di strade di comunicazione sia terrestri che marittime, segno di una prima forma di globalizzazione ante litteram. In questa rete di collegamenti la Liguria godeva di una posizione importante, dal momento che dal porto di Genova salpavano le navi dirette al Portogallo che poi avrebbero intrapreso il rischioso viaggio marittimo verso l’estremo oriente. Il grande numero di missionari che sono transitati in questi luoghi, nonché alcuni aspetti caratteristici del Collegio gesuitico di Genova, sono segno di una particolare attenzione e interesse per le missioni all’estero.
Anche la diocesi di Albenga-Imperia è parte di questa storia di scambi e percorsi missionari; nei prossimi appuntamenti, analizzeremo come il territorio presenti legami con la Cina ed il Giappone e conservi alcune testimonianze di evangelizzazione nell’estremo oriente dal XVII secolo fino al XIX secolo.
Note:
[1] Per maggiori dettagli, si veda J. Norman, T. Mei e W. Coblin 2015, pp. 309–317.
[2] M. Nicolini-Zani, 2006, p.12.
[3] La scoperta del reperto archeologico, avvenuta nel 1623-25, fu immediatamente oggetto di molte pubblicazioni in Europa. La notizia dell’antica presenza cristiana in Cina venne anche resa nota dal gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) nel Prodromus Coptus sive Aegyptiacus, Roma, 1636 e in altre pubblicazioni diffusesi tra il Seicento e Settecento.
[4] Si veda L. M. Paternicò (a cura di), La generazione dei giganti. Gesuiti scienziati e missionari in Cina sulle orme di Matteo Ricci, Genova, Portolano 2011.
Bibliografia:
D. E. Mungello, The Great Encounter of China and the West, 1500–1800, USA, Rowman & Littlefield Publishers, 2009 (3° edizione).
J. Norman, T. Mei e W. Coblin , “Inner Asian Words for Paper and Silk.” , Journal of the American Oriental Society, vol. 135, no. 2, 2015, pp. 309–317.
A.Tamburello, Echi del Celeste Impero. L’Europa d’inanzi all’antichità della Cina, Torino, Promolibri, 1997.
M. Nicolini-Zani, La via radiosa per l’oriente, Biella, Edizioni Qiqajon, 2006.
L. M. Paternicò (a cura di), La generazione dei giganti. Gesuiti scienziati e missionari in Cina sulle orme di Matteo Ricci, Genova, Portolano 2011.
Testo di Arianna Magnani