Parrocchia N.S. Assunta di Castelvecchio di R.B.
SANTUARIO NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE
Il territorio comunale di Castelvecchio di Rocca Barbena si sviluppa nella valle del Neva, alle pendici meridionali della Rocca Barbena (1.142 m). I due valichi dello Scravajon e di San Bernardo permettono la comunicazione della valle, rispettivamente, con la val Bormida e con l’alta val Tanaro.
Le origini del territorio di Castelvecchio risalirebbero intorno al I secolo, così come testimoniano i ritrovamenti d’epoca romana della cosiddetta “necropoli di Erli”, rinvenuti in località di Cascina d’Aglio.
Il borgo fu anticamente un’importante feudo dei marchesi di Clavesana, fondato e sviluppato da essi tra il XII e il XIII secolo. Interessato nel 1287 da un assedio imposto dal marchese di Ceva Giorgio, il territorio fu ereditato nel 1326 per via matrimoniale dai marchesi Del Carretto che qui vi trasferirono la loro residenza marchionale. A partire dal XIV secolo perse la sua importanza feudale a causa della fondazione del vicino feudo di Zuccarello che, eretto a sede di marchesato, inglobò tra i suoi territori anche il borgo di Castelvecchio.
Nel 1624 venne acquistato dalla famiglia Savoia, fino al 1672 quando lo stato piemontese fu costretto a cedere questa parte di territorio alla Repubblica di Genova.
Nel novembre del 1795 questo territorio fu interessato dai fatti d’armi tra l’esercito francese e le truppe austro-sarde nella battaglia di Loano.
Con la dominazione francese il territorio di Castelvecchio rientrò nel 1797 nel Dipartimento del Letimbro, con capoluogo Savona, all’interno della Repubblica Ligure. Dal 1798 fece parte del III cantone, capoluogo Zuccarello, della Giurisdizione di Centa e dal 1803 centro principale del V cantone delle Arene Candide nella Giurisdizione di Colombo. Annesso al Primo Impero francese dal 13 giugno 1805 al 1814 venne inserito nel Dipartimento di Montenotte. Nel 1815 Castelvecchio fu inglobato nel Regno di Sardegna, così come stabilì il Congresso di Vienna del 1814, e successivamente nel Regno d’Italia dal 1861.
Dal 1859 al 1926 il territorio fu compreso nel I mandamento di Albenga (Circondario di Albenga – Provincia di Genova) e infine sotto la neo costituita Provincia di Savona.
Nel 1863 per regio decreto assunse la definitiva denominazione di Castelvecchio di Rocca Barbena.
Castelvecchio è il primo dei borghi murati della Val Neva, avvolto a cerchio intorno al castello che lo domina. Il castello fu costruito dai Clavesana nel XI secolo, quando il luogo si chiamava Vallis Cohedani, toponimo misterioso che identificava una delle principali “vie del sale”, in grado di mettere in comunicazione l’oltre giogo piemontese con la Liguria di ponente, per lo scambio di olio, vino, grano, legname. Ottenuta l’investitura imperiale del feudo, i Del Carretto hanno improntato di sé Castelvecchio come tutta questa parte di Liguria.
Il borgo si caratterizza per le antiche case in pietra, per i portali in tufo, i tetti a terrazza e i sottotetti aperti con arco in pietra (vîsà) in cui si essiccavano fichi e funghi, per le sagome dei forni sporgenti dai muri delle case e per le cornici bianche alla finestre, che richiamano motivi dell’ area alpino-provenzale.
Le case fortezza, collegate da archi in funzione antisismica sulle vie interne, si conciliano con l´aspetto mediterraneo delle coperture a terrazza, che conservano forse il ricordo delle origini: i primi abitanti pare fossero saliti fin qui dalla costa per sfuggire alle incursioni saracene.
Chi osserva oggi il piccolo Santuario di Nostra Signora delle Grazie, che si staglia nel suo immacolato candore contro il profilo delle Alpi marittime sopra il rione del Baro, fatica a immaginare le cupe storie di pestilenza e i violenti fatti d’armi che ebbero per teatro la piccola altura che lo circonda, dove più volte si accamparono gli armati di diverse nazionalità per contendersi il controllo dell’alta Val Neva.
L’episodio più cruento risale al 1672, quando un bombardamento di artiglieria piazzata sul pianoro dalle truppe genovesi ridusse a “un cumulo di rovine fumanti” l’ala nord-ovest del castello che sorge proprio di fronte al Santuario e che da allora non venne più ricostruita. Il modo con cui avvenne l’intitolazione del santuario alla Madonna delle Grazie è piuttosto curioso.
Ne ha narrato la storia don Antonio Bonfante, parroco di Castelvecchio negli anni ’80, e noi la ripercorriamo con lui.
L’edificio esisteva già nel Cinquecento come semplice oratorio campestre dedicato a San Sebastiano. Lo confermano i documenti d’archivio e la toponomastica: i terreni prossimi al Santuario sono conosciuti dagli abitanti di Castelvecchio come San Bastiàn e fino a pochi anni fa nessuno di loro avrebbe detto, come si usa oggi, “vado alla Madonna”, ma “vagu a San Bastiàn”.
Per lungo tempo i due titoli vennero usati indifferentemente nei registri parrocchiali dove solo a partire dal 1860 “Madonna delle Grazie” prese il sopravvento. Per comprendere come sia nata questa duplice dedicazione, bisogna risalire ai primi decenni del Seicento quando un’epidemia di peste giunse a lambire l’abitato di Castelvecchio, ma si arrestò – così vuole la tradizione – sull’altura del Santuario, dove venne scavata una fossa comune per accogliere il corpo dei defunti, senza che il contagio riuscisse a propagarsi all’interno del borgo grazie alle preghiere elevate alla Vergine alla quale i fedeli, in cambio della propria salvezza, promisero di costruire una nuova chiesa a Lei dedicata. Tuttavia la penuria di spazio o , più probabilmente, la mancanza di fondi non consentirono di adempiere il voto, sciolto solo in virtù di un compromesso: l’antico titolo di San Sebastiano venne convertito in quello di Madonna delle Grazie, anche se il Santuario continuò a conservare varie testimonianze dell’antica devozione. I terreni intorno al Santuario sono tuttora chiamati le “Terre di S. Sebastiano”. (*)
Ogni anno, in occasione del 2 luglio, si celebra la festa della Madonna delle Grazie, con una processione che si snoda intorno al Santuario, portando la statua in spalla.
Il Santuario si trova su un pianoro rialzato, di fronte al castello che domina il borgo di Castelvecchio di Rocca Barbena, lungo un percorso storico pedonale che conduce al caratteristico cimitero ottagonale del 1891.
La precedente cappella di San Sebastiano si estendeva solamente sullo spazio del presbiterio e dell’abside, che infatti presenta un arco ribassato che precede un piccolo spazio rettangolare che doveva essere l’antico presbiterio. Nel Settecento questa cappella, dopo la visita del Vescovo Costa nel 1624, fu ingrandita aggiungendo l’aula e il pronao.
La cappella, con pianta longitudinale ad unica navata, con abside semicircolare e munita di un ampio presbiterio, è preceduta da un piccolo pronao aperto su tre lati e rialzato rispetto al terreno.
Le strutture portanti verticali sono in muratura. La struttura orizzontale è costituita da una volta a botte lunettata in corrispondenza delle finestre, mentre l’abside ha una copertura in semi-cupola.
A sinistra, con porta di accesso nella zona retrostante all’altare, si trova la sacrestia con copertura a padiglione.
La facciata principale è dominata dal pronao poggiante su pilastri decorati da lesene doriche e coperto da una volta a vela, con decorazioni pittoriche e al centro della volta il monogramma dipinto della Madonna.
Il pronao è caratterizzato dal selciato in acciottolato (“risseu o rissêu”) bianco e nero, riportante il monogramma della Madonna, con soprastante corona e la data 1893.
Il portone di ingresso al Santuario è sovrastato da una piccola edicola mariana, mentre ai lati del portone si trovano due finestre devozionali.
Al di sopra del pronao la facciata termina con un profilo mistilineo sopra il quale vi è il campaniletto a vela.
Sopra il portone troviamo una scritta su cartiglio “posuerunt me custodem”: non esiste documentazione né dell’anno, né del committente , ma si narra che non sia riferito a un’invocata protezione del paese, bensì a protezione dei neonati che venivano portati al santuario, ove una inferriata davanti alla porta fungeva da “ruota degli esposti”, dove venivano lasciati i neonati. Di questo se ne da testimonianza negli atti di battesimo già dal 1730.
La copertura dell’edificio è a due falde con struttura lignea e manto di copertura in tegole marsigliesi e abbadini di ardesia.
Ad unica navata, nell’area del presbiterio, si erge un importante altare maggiore in marmo e stucco, di linee databili al XVIII secolo, completato da una grande nicchia con fastigio di angeli e “pelacette”, con abbondanti dorature, in un tipico gusto rococò. Le dorature sono databili al 1881. Il pavimento interno è in ardesia e tozzetti in marmo.
Le pareti interne del Santuario sono scandite da lesene composite su cui corre un’ampia cornice modanata, decorata da foglie e palmette e un fregio vegetomorfo. L’interno è interamente decorato: la volta a vela dell’aula ha al centro un medaglione con la raffigurazione della Madonna con Gesù Bambino e la scena della Visitazione., mentre ai lati la decorazione pittorica più recente, eseguita dal pittore A. Arcesio nel 1946, comprende una serie di tondi raffiguranti l’Immacolata Concezione, l’Annunciazione, la Sacra Famiglia e la Crocefissione. La doratura della nicchia sopra l’altare maggiore e la decorazione pittorica della volta risalgono al 1881.
Nella nicchia sopra l’altare è conservata la pregevole statua processionale lignea della Vergine.
Dietro l’altare maggiore, è custodita la tela Madonna con il Bambino tra San Rocco e San Sebastiano, bottega ligure della prima metà sec. XVII, in cui, accanto alla Vergine, sono raffigurati San Sebastiano e San rocco, i due grandi santi taumaturgici della cristianità.
Il primo era un soldato appartenente al corpo di guardia di Diocleziano (III secolo d.C.). Convertito al cristianesimo, venne condannato ad essere trafitto con l’arco: il nugolo di frecce, sancito dall’iconografia, che penetrò nella sua carne non fu tuttavia sufficiente a causarne la morte, che sopravvenne solo quando fu ucciso a bastonate. La sua consacrazione a protettore dalla peste nasce appunto dall’essere scampato miracolosamente ai dardi scagliati contro di lui.
San Rocco – canonizzato nel 1414 – fu accostato a San Sebastiano quale protettore della pestilenza molto più tardi. Le povere vesti con le quali viene raffigurato lasciano scoperta una gamba per evidenziare una piaga sanguinolenta e dell’iconografia fa parte anche un cane che gli sta accanto reggendo in bocca un piccolo pane rotondo: secondo una pia leggenda ogni giorno ne avrebbe portato una forma per nutrire il Santo che si era rifugiato nel cuore di un bosco in attesa della morte.
Sulle pareti del Santuario spiccano decine di semplici ex voto, cuoricini d’argento e quadri che ricordano la grazia ricevuta, ma non mancano attestati con le generalità degli sposi che, il giorno delle nozze, chiedevano alla Madonna protezione e auspici di serenità per la nuova vita in comune.
Uno degli ex voto più recenti presenta i ritratti fotografici degli uomini nati a Castelvecchio ( o che qui si erano uniti in matrimonio) chiamati alle armi nei corpi di terra, d’aria e di mare durante la seconda guerra mondiale sul fronte interno, in Africa e in Russia: tutti riuscirono a salvarsi.
Bibliografia: Castelvecchio di Rocca Barbena – vita e storia di un borgo millenario nell’alta Val Neva, Silvio Riolfo Marengo con Silvia Malco Badano e Roberto Badano, Bacchetta editore.
Il Restauro (2014-2015)
Esso ha riguardato il risanamento conservativo degli elementi architettonici principali della costruzione.
La copertura, con integrazione dell’orditura lignea, sostituzione parziale degli elementi costituenti i passafuori in ardesia e del manto di copertura in tegole marsigliesi.
Tutte le facciate sono state sottoposte al consolidamento degli intonaci e alla successiva tinteggiatura con tinta ai silicati.
Un attento restauro ha interessato il pregevole selciato in acciottolato bicolore del pronao.
Il pronao di accesso al santuario presentava, nella copertura voltata, decorazioni pittoriche e supporto in stato di degrado; è stato effettuato il consolidamento e la ripresa pittorica delle decorazioni, previo ripristino delle lacune dell’intonaco, tinteggiato in cromia analoga all’originale.
La porzione di facciata corrispondente presentava uno strato di intonaco in malta cementizia, in fase di distacco, che è stato rimosso, riportando alla luce l’originale intonaco di calce, caratterizzato dalle “mostre” intorno al portone di accesso, alle due finestrelle laterali e alla nicchia policroma.
E’ stato effettuato il rifacimento del cartiglio posizionato sotto la nicchia, riproponendo la scritta devozionale risalente alla metà del ‘900.
All’interno alcune porzioni presentavano distaccamento dell’intonaco superficiale e delle decorazioni, a causa delle infiltrazioni di acque meteoriche dalla copertura. E’ stato eseguito il consolidamento del supporto e il restauro delle decorazioni pittoriche.
Foto prima e dopo
Progetto e direzione lavori: Architetto Mariaclara Romano
Restauro architettonico: Formento Filippo Carlo s.r.l.
Restauro apparati pittorici: Stafylopatis di Stafylopatis Yeorgia
Cosa visitare a Castelvecchio:
- Chiesa parrocchiale di Nostra Signora dell’Assunta.
- Oratorio dei Disciplinanti.
- Castello dei Clavesana.
- Chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Neve nella frazione di Vecersio.
per visite guidate castelvecchiorb@libero.it